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“It’s the economy, stupid!”: si tratta di uno dei famosi slogan che permise a Bill Clinton di prevalere su George Bush senior alle presidenziali del ’92. Al tempo, il repubblicano godeva di ampio consenso, specie dopo la prima guerra del Golfo, ma la diffusa insoddisfazione degli elettori americani circa le scelte di politica economica fu probabilmente una delle ragioni della sua sconfitta.
Oggi gli Stati Uniti si avvicinano alle elezioni di midterm con un ciclo economico piuttosto favorevole (+2,9% atteso per il 2018) e un tasso di disoccupazione ai minimi da 50 anni (~3,7%) con i dati dei non-farm payroll che segnalano il 96° mese consecutivo di espansione e oltre 200mila nuovi occupati, in media al mese, nell’ultimo anno. Ciononostante, i sondaggi (con tutti i caveat circa la loro attendibilità) vedono i Democratici in vantaggio, almeno alla Camera dei Rappresentanti. Non ruota tutto intorno all'economia, quindi? La risposta è: in parte. Vi sono infatti meccanismi più complessi che hanno a che fare, ad esempio, con i singoli effetti economici su famiglie e imprese oppure riguardano interessi specifici, come quelli degli elettori che reclamano maggiore assistenza sanitaria o quelli delle imprese che temono le ritorsioni commerciali dei Paesi partner, sotto forma di dazi (timori che si estendono anche ai consumatori per via di un potenziale aumento dei prezzi). Vi è poi preoccupazione per l’ampliamento dei due “famosi” deficit: fiscale e commerciale.
Il primo è atteso in crescita del 17% nel 2018 (per un totale di 780 miliardi di dollari). Lo sperato aumento della base imponibile che avrebbe dovuto compensare i tagli della tassazione infatti, non ha avuto luogo. Ed è aumentato anche il disavanzo commerciale nonostante i dazi introdotti con il dichiarato obiettivo di restringerlo (circa +10% nei primi 8 mesi del 2018 rispetto allo stesso periodo del 2017). Ciò verosimilmente è avvenuto per via dello stimolo fiscale che ha dato impulso alla domanda (anche dei beni di importazione), favorendo l’ampliamento del deficit, e la forza del dollaro (di cui il dollar index – aumentato di oltre il 5% da inizio anno – costituisce una misura) potrà peggiorare ulteriormente il saldo commerciale. In questo contesto vanno lette le critiche del Presidente Trump alle scelte di politica monetaria della Fed (3 rialzi nel 2018, un altro atteso entro fine anno e ulteriori 3 previsti nel 2019).
I rialzi hanno infatti, tra gli altri, l'effetto di far apprezzare il biglietto verde. Al di là di tutti i fattori qui elencati, questa volta, la sensazione, piuttosto diffusa, è che le elezioni del prossimo 6 novembre siano, più di ogni altra cosa, un referendum sul Presidente americano. Ma quali sono i risultati possibili? Sostanzialmente tre:
È evidente che l'Italia abbia molto da perdere in una “trade war” Usa-Ue. Gli Stati Uniti hanno infatti domandato oltre 40 miliardi di euro di nostri beni nel 2017 (3° mercato di sbocco). Con un Congresso spaccato (scenario 1), i margini di manovra in materia di politica economica sarebbero ridotti e il Presidente Trump potrebbe focalizzarsi principalmente sulla politica commerciale: l’introduzione di dazi nei confronti dell’Ue colpirebbe le nostre imprese.
Nello scenario 2, la conferma dell’attuale stimolo fiscale e l’introduzione di un secondo pacchetto di tagli avrebbe un impatto positivo sulla domanda, compresa quelli di beni italiani. Con un Congresso concentrato su questi temi, il rischio di dazi nei confronti dell'Ue resterebbe ma con una minore probabilità di accadimento. Una vittoria dei Democratici in entrambi i rami del Congressoavrebbe invece un impatto incerto: negativo nel breve, per l’assenza dei benefici derivanti da un ulteriore stimolo fiscale e per una politica commerciale probabilmente ancora aggressiva; potenzialmente più favorevole nel medio-lungo poiché una sconfitta dei Repubblicani nel 2020 implicherebbe, verosimilmente, un’inversione di rotta dal lato della politica commerciale. Nel Focus On di SACE SIMEST in uscita nelle prossime settimane affronteremo in dettaglio, tra gli altri, il tema dei rischi (per l’Italia) derivanti dall’introduzione di dazi Usa contro l’Ue.
Fonte: Sace
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